Le dimensioni contano

Qualche tempo fa mi è capitato di leggere il racconto La biblioteca universale di Kurd Lasswitz (per una volta la wikipedia in italiano sembra essere più sul pezzo di quella in inglese). In questo racconto si immagina una biblioteca che contenga “la totalità della letteratura possibile”, ovvero tutti i libri che è possibile comporre usando un alfabeto di \(100\) caratteri (compreso l’umile spazio vuoto) e di lunghezza esattamente pari a un milione di caratteri. Da un facile esercizio di calcolo combinatorio segue allora che l’ipotetica biblioteca contiene

\(100^{1000000} = 10^{2\cdot 10^{6}}\)

libri distinti. Il racconto prosegue con i personaggi che cercano di farsi un’idea di quanto sia grande questo numero; inutilmente, dato che esso va chiaramente oltre ogni capacità di comprensione intuitiva.

In effetti occorre riconoscere al buon Kurd che i numeri grandi sono un argomento affascinante e, oltretutto, di nobile origine: il primo ad occuparsene infatti è stato niente meno che Archimede. Nell’Arenario il siracusano afferma di essere in grado di contare il numero di granelli di sabbia necessari per riempire l’Universo (che, per la cronaca, stima in \(10^{63}\)), e per dimostrarlo è costretto a inventarsi una notazione adatta: la numerazione in uso nella Grecia antica consentiva infatti di esprimere con facilità solo i numeri fino a diecimila (detta miriade), e con un po’ più di lavoro quelli fino a \(10^{8}\) (doppia miriade). Archimede parte da questo primo traguardo e chiama quelli che seguono i «numeri del secondo ordine», che quindi arrivano fino a \(10^{16}\) dove iniziano i «numeri del terzo ordine», e così via. Questo schema prosegue fino alla doppia miriade di ordini, che in notazione moderna sarebbe \((10^{8})^{10^{8}} = 10^{800000000}\) (notare che siamo già oltre al numero di libri della biblioteca di Lasswitz). Ma Archimede non si ferma qui: chiama quelli ottenuti fino a quel momento i «numeri del primo periodo», e prosegue con i periodi successivi. Il numero più grande cui dà un nome è quello che si ottiene al termine della doppia miriade di periodi, ovvero

\(10^{8\cdot 10^{16}}\)

Non saprei dirvi in quale momento, nella lunga storia del pensiero umano, siano stati considerati per la prima volta numeri più grandi di questo. Sicuramente ciò avvenne nel 1938, quando il matematico americano Edward Kasner chiese al suo nipotino di 9 anni di inventare un nome adatto a un numero grandissimo (in realtà Kasner pensava “solo” a \(10^{100}\)), e il nipotino rispose «googol!», coniando così (seppur inconsapevolmente, e trascurando una piccola storpiatura successiva) il nome di uno dei più grandi colossi informatici del secolo successivo. La storia non finisce qui, perchè il medesimo nipote (non sappiamo se nuovamente sollecitato dallo zio o sua sponte) propose successivamente il termine googolplex come sinonimo di “uno, seguito da tanti zeri quanti ne puoi scrivere finché non ti stanchi“. Lo zio, che era pur sempre un matematico, pensò di formalizzare questa definizione ponendo il googolplex pari a «dieci alla googol», ovvero \(10^{10^{100}}\); e questo è senza dubbio più grande di tutti i numeri considerati da Archimede due millenni prima.

Ma sarebbe un errore pensare che i numeri grandi vengano tirati in ballo solo per motivi futili come contare quanti granelli di sabbia (o, per tornare ai nostri tempi, quanti protoni) stiano nell’Universo, o per soddisfare la fantasia del nipotino prediletto. Nel 1933 il matematico sudafricano Stanley Skewes decise di rendere più concreto un risultato ottenuto dal suo maestro Littlewood (sì, quel Littlewood) riguardante le funzioni \(\pi(x)\) (la funzione che conta i numeri primi minori di \(x\)) e \(\text{li}(x)\) (il logaritmo integrale). Littlewood aveva dimostrato che la prima può assumere valori maggiori della seconda, pur non indicando alcun numero per cui ciò accade; in effetti per tutti i numeri “ragionevoli” risulta \(\pi(x) < \text{li}(x)\). Skewes riuscì a dimostrare che tale disuguaglianza è violata da un \(x\) tale che

\(x < e^{e^{e^{79}}} < 10^{10^{10^{34}}}\)

Il secondo di questi numeri è passato alla storia con il nome di numero di Skewes, ed è (neanche a dirlo) assurdamente più grande persino del googolplex, visto che il \(100\) che figura in quest’ultimo come secondo esponente viene qui sostituito da un \(10^{34}\).

Se state pensando che col numero di Skewes abbiamo toccato il cielo (o il fondo, a seconda dei punti di vista) vi sbagliate, e di grosso (diciamo di un googol). Non vi tedierò ulteriormente parlando di tetrazione, funzioni di Ackermann e altre amenità del genere, ma giunti a questo punto non si può evitare di menzionare il numero di Graham, che si è guadagnato da Martin Gardner l’appellativo (pienamente meritato) di «più grande numero mai usato in una dimostrazione matematica seria». Ci piacerebbe moltissimo esibire all’interno di questo post il numero di Graham (chiamiamolo \(G\)) in tutto il suo splendore, ma sfortunatamente una serie di considerazioni tecniche ci suggeriscono di soprassedere. Per una sua esaustiva descrizione rimandiamo all’articolo di Wikipedia sopra linkato; in questa sede ci piace invece ricordare il contesto in cui venne definito questo numero enorme. In un manoscritto (purtroppo) non pubblicato, Graham era riuscito a dimostrare che un certo problema della teoria di Ramsey ammette come soluzione un numero naturale \(n\), senza tuttavia avere idea di come calcolarlo. Dovette quindi limitarsi, com’è d’uso in questi casi, a darne un limite inferiore e un limite superiore; ma quest’ultimo risultò essere proprio \(G\)! Ciò diede origine a quello che, a mio avviso, è indiscutibilmente uno dei passaggi più memorabili nella storia della letteratura matematica. Dopo aver dimostrato che la soluzione cercata è da qualche parte tra 6 e l’incomprensibilmente grande \(G\), Graham conclude asciutto: «Clearly, there is some room for improvement here.»

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