Anche cancellare è un’arte

C’erano una volta, prima che i social media spazzassero via tutto quanto, i blog. Sì, tipo questo che state leggendo — che infatti è una specie di relitto dello scorso decennio alla deriva nel web dei giardini recintati. Una delle caratteristiche più interessanti dei suddetti blog erano i blogroll: una lista di link ad altri blog che venivano implicitamente consigliati, o comunque ritenuti affini, dal tenutario del blog in questione. All’inizio ce l’avevo persino io, una specie di mini-blogroll; stava in un box laterale intitolato “omeogiornale” (citazione Dickiana), poi a un certo punto l’ho tolto, non ricordo più se è successo perché ho cambiato tema o perché nove link su dieci erano morti. Fatto sta che i blogroll erano stupendi, o almeno a me piacevano un sacco, perché erano una maniera di scoprire gente nuova, spesso interessante e/o con opinioni non scontate, che scriveva su internet. Non che adesso non ci sia gente interessante che scrive su internet; ma non c’è alcuna speranza di trovarla, visto che spesso pubblicano su piattaforme chiuse (i giardini recintati di cui sopra), o anche quando pubblicano su piattaforme aperte annunciano i loro post via social media, e i social media non sono fatti per segnalarti le cose interessanti; sono fatti per segnalarti le cose che ti fanno incazzare, pardon, che generano engagement.

Ma sto divagando. Dicevo, i blogroll non esistono più, e quindi tocca surrogarli mantenendo in proprio una lista di link a blog di interesse (magari tramite i relativi feed RSS, finché resistono…). Nella mia lista è presente da sempre il blog di Jamie Zawinski, ex programmatore (responsabile, tra le altre cose, delle prime versioni di Netscape Navigator, del mitico xscreensaver — a cui questo blog deve gli sfondi — e molto altro), nonché attuale proprietario di un dance club a San Francisco (!). Ed è proprio tramite il suo blog che sono venuto a conoscenza di questa straordinaria opera di Ben Grosser (quanto segue è solo un piccolo estratto, qui il PDF completo):

Estratto dal Tecno-Optimist Manifesto, cancellato da Ben GrosserZawinski chiama questo tipo di arte redaction poetry, che letteralmente sarebbe “poesia della censura”; sulla wikipedia in inglese si trova invece erasure poetry (“poesia della cancellatura”), o anche blackout poetry. Nell’articolo corrispondente, gli inizi di tale pratica si fanno risalire a tale Doris Cross, di cui si cita un’opera del 1965. Ma consultando la wikipedia in italiano si scopre che negli stessi anni anche Emilio Isgrò, a Milano, realizzava i primi esperimenti di arte della cancellatura. Ci saranno state delle influenze tra i due, o siamo di fronte a un caso in cui (come spesso accade, nell’arte come nella scienza) l’idea che porta a una nuova forma di espressione è concepita in maniera simultanea e indipendente da più soggetti?

Personalmente però la prima opera che associo alla cancellatura è Expédition nocturne n. 1 di Anna Rosa Gavazzi. Se state cascando dalle nuvole significa che avete la sventura di non aver mai visto una puntata di Passepartout, uno dei più riusciti programmi sull’arte della RAI, condotto dal compianto Philippe Daverio (che ci ha lasciato nel 2020). Nelle parti girate in studio, infatti, faceva bella mostra di sé, alle spalle di Daverio, una pagina di testo in francese in cui l’unica parte non cancellata era la frase «je dois apprendre aux curieux». Si tratta appunto dell’opera sopra citata, che riprende la prima pagina del libro Expédition nocturne autour de ma chambre dell’oscuro scrittore sabaudo Xavier de Maistre. Apprendo da questo articolo di Giuseppe Porrovecchio che la trasmissione venne chiusa nel settembre 2011 semplicemente perché non era realizzata in-house dalla RAI, e una sentenza della Corte di Cassazione aveva vietato l’acquisto di ogni tipo di produzione esterna. Come sempre succede in Italia, per evitare possibili danni erariali si preferisce vietare tutto a priori, e pazienza se trasmissioni di successo ne pagano le conseguenze. Come dicono gli americani, this is why we can’t have nice things.

Aggiornamento (8/11): quello che mi ero perso è che Marc Andreessen, l’autore del “manifesto” che ha fatto da base per il lavoro di Gosser, è stato a sua volta uno dei cofondatori di Netscape (e quindi collega di Zawinski), prima di darsi al capitalismo di rischio; il che aggiunge ulteriore ironia a tutta la storia…

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