Le rivoluzioni non insegnano niente

Come avrete notato questo blog è rimasto silente sulla questione dei presunti neutrini che viaggiano a velocità superluminale. (Per chi fosse stato su Marte nell’ultimo mese, qui c’è un ottimo riassunto — per una volta, in italiano — della vicenda.) La ragione di questo silenzio è molto semplice: è mia opinione che la misura in questione sia errata. La penso così innanzitutto perché si tratta  di un esperimento delicatissimo, che è stato effettuato con un apparato che non era stato pensato per misure di questo tipo (lo scopo originale dell’esperimento OPERA era infatti quello di misurare l’entità delle oscillazioni dei neutrini μ in neutrini τ), circostanza questa che certo non aiuta a stimare correttamente le possibili fonti di errori sistematici, e soprattutto a stimarle con una precisione così elevata come quella richiesta dall’entità degli effetti in gioco (che è veramente minima). Inoltre ritengo molto significativo il fatto che una parte minoritaria (ma comunque consistente) della collaborazione non abbia firmato l’articolo in questione, il che significa che anche all’interno del gruppo di OPERA vi sono dei dubbi sulla correttezza dell’analisi effettuata.

Detto questo, trovo comunque molto interessante ciò che è successo (e sta continuando a succedere) in seguito all’annuncio di OPERA. Dal punto di vista prettamente tecnico si sono letteralmente “aperte le gabbie”: così su Internet in generale, e sull’arXiv in particolare, è possibile trovare da un lato una schiera di improvvisati fisici sperimentali che non esitano a suggerire possibili errori sistematici nell’esperimento (alcuni dei quali talmente banali da risultare persino offensivi per i poveri fisici di OPERA), e dall’altro una ancor più nutrita schiera di teorici che si è affrettata a proporre possibili spiegazioni per l’effetto (credo che chiunque abbia mai lavorato in vita sua su modelli in cui c’è una rottura dell’invarianza di Lorentz sia uscito con un preprint nell’ultimo mese).

Ma ancora più interessante, almeno a mio avviso, è quello che è successo dal punto di vista della comunicazione (o, per usare un termine mai abbastanza vituperato, «divulgazione»). Qui abbiamo assistito al prevedibile putiferio che un annuncio del genere («scoperta una violazione della relatività di Einstein!») poteva suscitare, e sono fioccati titoli quali «Einstein aveva torto», «Tanti saluti alla teoria della relatività», e così via. Ora, finché affermazioni del genere arrivano da persone cui manca la forma mentis scientifica (e la maggioranza dei giornalisti, purtroppo, rientra in questa categoria) ci si può passare sopra; ma il problema è che anche scienziati di un certo calibro hanno espresso concetti analoghi. Per esempio apprendo da questo post del sempre interessante Philip Gibbs che John Ellis, in un documentario andato in onda sulla BBC, ha dichiarato:

“If the speed of light turned out not to be absolute, we would just have to tear up all the textbooks and start all over again.”

Con tutto il rispetto per Ellis, vorrei mettere in chiaro che questa scritta qui sopra è una castroneria gigantesca (per non scendere nel volgare). Nella scienza non accade mai che si debba «ripartire da capo», per un semplice motivo: la scienza è per sua natura progressiva. Nessuna teoria che abbia dimostrato la sua efficacia per una classe sufficientemente ampia di fenomeni (e la relatività rientra senza dubbio tra queste) viene mai buttata via del tutto, anche qualora essa venga refutata da osservazioni successive. Per avere un esempio egregio di quanto affermo è sufficiente dare un’occhiata al programma di un corso universitario di Fisica del primo anno, il cui argomento principale è… la meccanica classica, teoria che è stata refutata da innumerevoli esperimenti nel corso dell’ultimo secolo! Nonostante ciò, pare proprio che i libri di testo di meccanica non siano stati «stracciati», e il motivo è semplice: se voglio sapere, ad esempio, di quanto si allunga una certa molla quando vi attacco un certo peso, non tirerò certo in ballo la dinamica relativistica (o men che meno la meccanica quantistica): userò invece la cara vecchia F=ma, perché in tale ambito è perfettamente adeguata a descrivere il fenomeno che mi interessa. E allo stesso modo, quando la relatività sarà refutata (e prima o poi accadrà, anche se mi permetto di dubitare che sarà grazie a OPERA), nessuno farà il giro delle librerie per stracciare i libri di Pauli, Møller, Rindler e compagnia; semplicemente, si andrà alla ricerca di una nuova teoria in grado di descrivere i fenomeni nuovi e allo stesso tempo salvare i fenomeni già spiegati dalla relatività (esattamente come fa quest’ultima in relazione alla meccanica classica).

Ora, questo discorso fa davvero parte dell’ABC della (filosofia della) scienza; magari sarò un ingenuo, ma mi aspetterei che uno che occupa una cattedra di fisica teorica intitolata a Maxwell ed è stato (tra le altre cose) direttore di divisione al CERN non cada in errori del genere. Ovviamente è anche possibile che Ellis abbia semplicemente voluto tirare fuori una frase ad effetto per fare più impressione su di un pubblico generalista, ma dal mio punto di vista questo non lo giustifica affatto; anzi è un’aggravante, perché contribuisce a dare un’idea distorta della scienza al grande pubblico.

Aggiornamento (28/10): Per avere un’idea della quantità di preprint che hanno fatto seguito (in poco più di un mese!) all’annuncio di OPERA consiglio di dare un’occhiata a questa bibliografia sull’argomento, in particolare alla sezione 8 (dove, nel momento in cui scrivo, siamo a 108 and counting).