Visto l’incoraggiante supporto del pubblico, comincia ufficialmente la serie di post dedicata alla nascita della meccanica quantistica. Cominciamo subito col dire che non ho intenzione di ripercorrere l’intera strada che ha portato dalla fisica classica a quella dei quanti: si tratta di un processo molto lungo e complesso, il cui punto di partenza si può fissare al 14 dicembre 1900 (giorno in cui Planck presentò per la prima volta, a un meeting della società tedesca di fisica a Berlino, la sua celeberrima derivazione della legge per lo spettro di emissione del corpo nero) e che durerà all’incirca una trentina d’anni; si tratta dei famosi trent’anni che sconvolsero la fisica che danno il titolo a un fortunato libro di George Gamow.
In questa sede (come dicono i professionisti) ci occuperemo invece nel dettaglio di un periodo di tempo molto più ristretto, ma decisivo, che va dalla metà del 1925 alla fine del 1927: poco più di due anni quindi, nel corso dei quali però verranno scoperti tutti gli ingredienti fondamentali su cui si basa la teoria finale.
In questa parte 0 (come tutti i matematici, anch’io comincio a contare da zero) vorrei spendere due parole sul contesto storico che fa da sfondo all’opera dei padri fondatori. Mi concentrerò soprattutto sulla situazione in Europa, visto che all’epoca la fisica si faceva quasi esclusivamente nel vecchio continente: gli Stati Uniti avevano ancora un ruolo marginale, soprattutto dal punto di vista della teoria (con alcune notevoli eccezioni come Gibbs), il Giappone era sostanzialmente appena entrato a far parte della comunità scientifica internazionale e la Russia, o meglio l’URSS, era ancora alle prese con i postumi della rivoluzione di ottobre. Per tutti questi motivi la meccanica quantistica può essere considerata una teoria prettamente europea (e anzi, oserei dire nordeuropea).
Facciamo quindi un tuffo indietro nel tempo fino al 1925: la prima guerra mondiale è finita da poco più di sei anni e l’Europa si sta lentamente riprendendo dalle terribili devastazioni che essa ha comportato, sia in termini materiali che, soprattutto, in termini di vite umane (16 milioni di morti tra militari e civili). Per i paesi vincitori (Francia, Inghilterra) il peggio è alle spalle: l’economia si sta riprendendo e i sommovimenti politici e sociali che avevano caratterizzato un po’ dappertutto l’immediato dopoguerra (anche per via dell’enorme influenza esercitata dal successo della rivoluzione russa) sono stati contenuti senza ripercussioni durature.
Più complicata, naturalmente, è la situazione dei paesi sconfitti. In Germania resiste per il momento la repubblica di Weimar, che nonostante la congenita fragilità delle sue istituzioni è stata comunque in grado di superare, bene o male, due diversi tentativi di colpo di stato a opera di Kapp nel 1920 e di Hitler (sì, quell‘Hitler) nel 1923. L’economia è gravemente azzoppata dai debiti di guerra e dall’iperinflazione, ma gli “anni terribili” (1922-1923) sono alle spalle e la situazione, seppur lentamente, sembra migliorare, anche grazie al piano Dawes che mette a disposizione ingenti prestiti dagli Stati Uniti. Sul piano politico si cerca di arrivare a una normalizzazione dei rapporti con la Francia, il che porterà nell’ottobre di quell’anno agli accordi di Locarno (in cui la Germania si impegna a riconoscere il confine stabilito dal trattato di Versailles, rinunciando quindi definitivamente ad Alsazia e Lorena) e, l’anno dopo, all’ingresso della Germania nella Società delle nazioni.
Anche Austria e Ungheria non se la passano bene: avendo perso rispettivamente il 60% e il 72% del loro territorio al termine della prima guerra mondiale, si ritrovano ora con un’industria sproporzionata rispetto ai loro bisogni e con possibilità di commercio severamente limitate dalle nuove frontiere (basti ricordare che l’Austria, con la perdita di Trieste, Istria e Dalmazia, non ha più neanche un porto). In Austria c’è una repubblica, tanto per cambiare debole, con al governo il partito cristiano-sociale (di destra); in Ungheria, dopo la breve parentesi di Bela Kun nel 1919, c’è di fatto una dittatura guidata dall’ammiraglio Miklos Horthy.
E in Italia? Ahimè, qui il fascismo è in piena ascesa e sta smantellando gli ultimi resti di democrazia. L’anno precedente (1924) si sono tenute le famose elezioni in cui il listone fascista ottiene il 65% dei voti, seguite dal delitto Matteotti e dalla secessione sull’Aventino delle opposizioni. L’anno si apre (3 gennaio) come peggio non potrebbe, ovvero con il discorso alla camera di Mussolini in cui dichiara di «assumersi la piena responsabilità politica, morale e storica di quanto accaduto». Nessuno reagisce, ed è la fine della repubblica parlamentare: nei mesi successivi viene sospeso il parlamento, messi fuorilegge gli altri partiti e soppressa la libertà di stampa.
Comunque, come abbiamo già accennato, dal punto di vista della fisica l’Italia è per il momento completamente fuori dalla mappa, e ci rimarrà ancora per qualche anno. Per sapere quali sono i luoghi dove si farà la storia dovrete però aspettare la prossima puntata, in cui daremo un’occhiata alla situazione della fisica teorica nel 1925. (continua)